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storie fabrizio duranti

La storia di Paolo Alberati - (prima parte)

Sono sportivo da sempre, ciclista professionista ormai da dieci anni, innamoratissimo del mio mestiere, ma per la verità desideroso di coltivare anche molteplici altri interessi, a partire dalla scrittura, sino all’arte e alla cultura in generale.

Ho partecipato a Giri d’Italia, ho corso molto all’estero, pedalando al fianco di campioni come Indurain, Pantani, Bugno, Ullrich e Armstrong e ho vinto anche qualche gara. Da alcuni anni il mio lavoro è diventato il mondo della mountain-bike, dove ho vinto due edizioni del Giro d’Italia Offroad, il Grand Prix Windtex.

Se devo riconoscermi un pregio e un difetto allo stesso tempo, forse lo devo individuare nella tenacia con la quale ho sempre cercato di far andare a braccetto la passione per il mio sport con la ricerca del miglioramento continuo, in armonia con il benessere psicofisico.

Fin qui tutto rose e fiori direte, fino a quando, nel 2004, decido di prendermi un «anno sabbatico»: termino il corso dei miei studi laureandomi in Scienze politiche nella facoltà della mia città, Perugia (con una tesi storica sul ciclista Gino Bartali), metto in cantiere i preparativi per il mio matrimonio e cambio anche lavoro, iniziando a scrivere nella redazione di un giornale sportivo, con l’intento di interrompere lì, a trent’anni, la mia carriera sportiva.

Il 2004 doveva essere insomma un anno importante, quello della svolta positiva della mia vita. Doveva. Poi però il destino vuole che le cose prendano una piega diversa dal percorso desiderato, e così a inizio 2005 mi ritrovo a dover mettere un «punto e a capo», nei miei legami affettivi prima di tutto. Decisi anche di riprendere l’attività atletica, ma subito affiorarono nuove difficoltà.

Mentre prima infatti, in piena forma atletica, ero in grado di gareggiare con un peso intorno ai 67 chilogrammi e un 5 per cento di massa grassa, a fine 2004, dopo un anno di inattività atletica e una gran quantità di stress accumulato, mi ritrovai a pesare 75 chilogrammi. Un peso inconcepibile per un ciclista professionista che si ritrova ad avere un 9,5 per cento di massa grassa addosso.

Ma i problemi più importanti, almeno in quel momento, non derivavano dal mio metabolismo di ex sportivo da riattivare, quanto dalle implicazioni psicologiche di un momento molto difficile della mia vita. E in quel momento entrò in campo il dottor Fabrizio Duranti.

Alcuni anni prima mi ero appassionato alla lettura del suo libro Supersalute con la Zona, e sulla scorta di quella esperienza mi ero informato su tutto ciò che c’era da sapere su dieta a Zona e soprattutto sul metodo HMP (human maximum performance). Solo a fine lettura però avevo notato che questo medico dalle idee così nuove, maturate dopo anni di studi e approfondimenti negli Stati Uniti, alla scuola di Barry Sears (e non solo), era un mio concittadino, perugino anche lui! Mi ero detto: «Prima o poi, se come sportivo voglio tirare fuori il meglio di me, devo passare da lui». E ora era giunta l’opportunità: quale occasione migliore per rimettermi in gioco dal profondo, se non quel momento in cui non c’era da ricostruire solo lo sportivo e riattivare il metabolismo, ma anche rimettere ordine in anima e mente?

Ed eccoci giunti al lieto fine della storia, la mia fantastica stagione agonistica 2005, in cui ho bissato il successo di quattro anni prima nel Gran Prix Windtex, ottenendo a trentadue anni prestazioni in corsa per me prima impensabili e soprattutto ritrovando la spinta passionale e la gioia di vivere. Ma come ho fatto? Cercherò di riassumerlo in poche righe.

Subito dopo la mia prima visita, Fabrizio mi propose un programma di «ricostruzione» a tappe, e visto che le corse a tappe erano proprio il mio forte, la nuova sfida mi aveva subito affascinato.

Prima di tutto c’era da risistemare la componente emozionale e psicologica, mettere un freno all’irrequietezza che tante volte mi aveva limitato nelle prestazioni atletiche e rimuovere anche quei blocchi psicologici che, inconsapevolmente, avevano sempre condizionato il mio rendimento.

Così, suggerendomi la meditazione, e in particolare il controllo della coerenza cardiaca tramite l’utilizzo del Programma Freeze-Framer, ho subito compiuto passi da gigante, ritrovando raziocinio, serenità e lucidità nelle scelte di tutti i giorni, ma anche e soprattutto nelle situazioni limite in gara.

Con la dottoressa Paola Ragnetti inoltre, psicologa e colla- boratrice di Fabrizio, ho svolto alcune sedute di EMDR, per cercare di scacciare dal profondo della mia anima tutte le esperienze negative profondamente radicate negli anni e sostituendole con pensieri, immagini, sensazioni positive e particolarmente piacevoli e rassicuranti, da richiamare alla mente continuamente nell’arco della giornata.

Stiamo comunque parlando di un percorso in fieri, che coinvolge tuttora quotidianamente la mia persona, ma l’energia positiva che ne è sgorgata ha dato sin da subito i suoi frutti. Il secondo passo era quello di reimparare a interpretare l’attività sportiva come una piacevole espressione della mia personalità, considerando l’abitudinaria seduta di allenamento non già come una necessaria routine lavorativa, utile solo per la prestazione in sé, quanto come un vero e proprio gioco piacevole e creativo.

Sono scomparse così giorno dopo giorno tutte le tensioni sia mentali sia muscolari. E insieme a quelle, anche tutta la serie di sensi di colpa tipici dell’atleta sotto stress, che magari saltando un allenamento non per sua scelta, ma solo perché fuori piove, si sente male una giornata intera. In questo passaggio mi è stata di fondamentale aiuto la lettura del libro Lo zen e l’arte della corsa di Luca Speciani, in cui l’autore insegna a ridiventare come bambini nel momento del gioco, imparando ad ascoltare le proprie sensazioni più intime e i segnali di stanchezza, o di vigoria, che il fisico continuamente ci invia.

Proprio per questo motivo ho anche cercato nuovi stimoli nell’allenamento, avvalendomi della collaborazione e dei suggerimenti del mio nuovo preparatore atletico Giovanni Camorani, che proponendomi le linee guida della sua filosofia di allenamento «Born to Run», ha aggiunto nuovi importanti elementi ai miei classici schemi di allenamento, da sempre condivisi e messi a punto con Giuliano, mio medico sportivo di fiducia oltre che carissimo amico.

Terzo passo è stato quello di sottopormi a un programma di detossificazione dei tessuti, tramite la purificazione dell’apparato intestinale e digestivo. L’adozione di un regime alimentare a base di frutta e verdura (altamente alcalinizzante), dapprima per dieci giorni consecutivi, poi saltuariamente tre-quattro volte al mese, mi ha permesso da una parte di perdere liquidi e tossine di ristagno dai tessuti connettivali, dall’altra di abbassare di molto il grado di acidità del mio organismo.

Poi, solo come quarta tappa in ordine d’importanza, Fabrizio ha inserito nella mia dieta i dettami di una Zona «adattata» alle esigenze di uno sportivo professionista di specialità endurance. Più che la quantità, mi sono abituato a controllare la qualità (in particolare l’indice glicemico) degli alimenti, con un occhio di riguardo a quelli più digeribili e soprattutto più adatti al mio gruppo sanguigno (A+), bypassando così sin dalla base problemi legati a intolleranze e malassorbimento dei micronutrienti contenuti nei cibi.

I risultati si sono concretizzati nel mio «nuovo» peso forma, quello della stagione agonistica in corso: 69 chilogrammi di peso con un 5,7 per cento di percentuale di massa grassa totale.

Infine, parlavamo di micronutrienti, e quindi di integrazione naturale. Sono diventati fedeli alleati della mia dieta quotidiana un’integrazione di glutammina diluita in tre-quattro somministrazioni giornaliere, 2,5 g di olio di pesce (Omega3 Rx), 7 g di amminoacidi ramificati nei giorni di intenso lavoro muscolare, due compresse di ginkgo biloba e 4 g di polvere di mirtillo estratto secco come antiossidanti, una soluzione di sali minerali disciolti in acqua come alcalinizzante e, da ultimo, anche un concentrato minerale colloidale in gocce, composto di ossigeno e idrogeno, come combustibile per il mio metabolismo. Come avrete capito la mia vita è cambiata, molto e in meglio.

Il mio nuovo motto è stato: «In minimis… maximum performance!», ossia fare attenzione anche alle più piccole cose, per raggiungere la massima performance; non solo nello sport, ma anche nella vita sociale. Infatti nel corso del mio ultimo anno di vita si sono moltiplicate le iniziative e le esperienze coinvolgenti, mentre divido piacevolmente la mia giornata tra allenamenti stancanti ma molto divertenti e altri molteplici impegni quotidiani.

Mi sono iscritto all’Albo Nazionale dei Giornalisti, intervistando a casa loro o durante gli intervalli del Giro d’Italia campioni come Lance Armstrong, Fabrizio Ravanelli e Damiano Cunego. Ho scritto il mio primo libro (Gino Bartali, che uomo…) in cui si raccontano episodi inediti e nobilissimi di un uomo straordinario, oltre che del campione che tutti conosciamo e ho anche recitato da attore-ciclista nella fiction Gino Bartali l’uomo di ferro, andata in onda sulla RAI, sotto la regia di Alberto Negrin.

Inoltre ho iniziato una nuova carriera da consulente sportivo, aprendo un centro di preparazione e consulenza (A&G Sporting) sulle colline del lago Trasimeno, dove mi prendo cura di alcuni giovani ciclisti professionisti sotto il profilo logistico, economico, amministrativo e atletico e fornisco consulenze ad altri appassionati cicloturisti, suggerendo loro di confrontarsi con i dettami del circolo virtuoso del benessere, continuamente rielaborato e aggiornato dal dottor Duranti. Infine, nei casi più «gravi», se questo ancora non basta, raccomando loro di fare proprio come me: cioè incontrare Fabrizio di persona!

«Siete arrivati fin qui» dissi in tono conclusivo, «e a questo punto meritate di leggere anche le ultime pagine scritte da Speciani, relative alla corsa e allo zen, un argomento citato anche nella precedente testimonianza.» Mi guardarono un po’ stupiti: «Lo so che vi sorprendo parlando di corsa e zen, ma vi assicuro che le pagine che seguono riescono a essere quasi poetiche, e ogni volta che le rileggo mi emoziono.

In molti pensano che siano scritte solo per gli atleti: non è così, sono scritte per tutti coloro che hanno deciso di cominciare a muoversi, di prendersi cura del proprio corpo nel migliore dei modi possibile».

(Da "il circolo virtuoso del benessere" ed Sperling & Kupfer)




Storia di Paolo Alberati - (seconda parte)

Sono un uomo fortunato.
Lo sono da quando, da bambino, ho conosciuto l’importanza di sognare qualcosa di grande, inseguire quel sogno e dare tutto me stesso per raggiungerlo.
Era una domenica mattina dei primi anni Ottanta, avevo 6-7 anni, e mio padre mi accompagnò lungo la statale del Trasimeno. Passava il Giro d’Italia.
Lui non era mai stato tifoso di ciclismo – e non lo sarebbe stato neanche dopo, quando il destino e la tenacia hanno fatto sì che in mezzo ai ciclisti lanciati per le strade d’Italia ci fosse anche suo figlio – ma si sa… quando passa il Giro, un italiano che si rispetti va per strada ad applaudire. Ciclista professionista (e anche altro)

Mi rimase addosso quella ventata di colore, il vociare veloce nel gruppo, una borraccia lanciata a bordo strada (che ancora conservo) e da allora sognai, per anni, di diventare un corridore ciclista. Sino a diventarlo davvero e partecipare per la prima volta al Giro d’Italia nel 1997. Quel Giro passò per le strade del Trasimeno: anche ora, scrivendo, mi vengono i brividi se ripenso che al margine della strada c’erano i miei genitori in attesa del passaggio del gruppo. Non tifosi, ma commossi. Furono anni di sogni concreti, non astratti e idealisti. Ce la devo fare, mi dicevo, devo conoscere, imparare, studiare e «pedalare» ciclismo. Sino a riuscirci.

Oggi, mentre scrivo, sono ancora un ciclista professionista. Tra pochi mesi, dopo l’uscita di questo libro, magari mentre lo starete leggendo, non lo sarò più. Ho vissuto esperienze bellissime, ho girato il mondo e imparato le lingue senza pagare e senza studiare: semplicemente pedalando. Ho conosciuto e corso con grandissimi campioni: Indurain, Pantani, Armstrong, Basso. Il povero Franco Ballerini fu il mio compagno di stanza nella mia prima corsa da professionista: un maestro, poi un amico.

Ho vinto una corsa, in Spagna, tra i professionisti e poi mi sono dedicato anima e corpo alla mountain bike: un lavoro fantastico, che mi ha portato a vincere due Giri d’Italia Mountain Bike negli anni Duemila, correre in nazionale durante campionati europei e mondiali, continuare a vivere la mia passione come professione.
Una fortuna, appunto.

Non sempre è andato tutto bene, ovvio. A dire il vero le difficoltà sono state superiori alle soddisfazioni, ma nel mondo dello sport c’è un motto: «La fatica passa, la vittoria resta». Un refrain che mi sono ripetuto molto spesso per tenere duro in tante situazioni di gara.

Tra gli ostacoli da superare c’è stato anche il fatto che gli anni passavano – ora ne ho 38 – e la vita di uno sportivo professionista non dura in eterno. Così, un po’ alla volta, ho iniziato a organizzare le mie idee e il futuro. Prima mi sono laureato in Scienze politiche, poi ho preso il diploma di Maestro di mountain bike. Ho avviato un’attività di consulenza sportiva, la A&G Sporting, con studi e atleti-amici dislocati in tutta Italia, poi ho organizzato il Girobio, il Giro d’Italia dei giovani dilettanti.

Mi sono iscritto all’albo dei procuratori sportivi e ho cominciato a esercitare con alcuni atleti professionisti; infine, dopo un periodo di praticantato, sono entrato nell’albo nazionale dei giornalisti: da dieci anni scrivo per mensili specializzati e da poco ho scoperto una nuova vena, quella dello scrittore di libri per diverse case editrici.

E non dimentichiamo la cosa più importante: in poco tempo sono diventato papà di due bambini. Edoardo ha già 3 anni, Gaia Vittoria pochi mesi, e mia moglie Valeria un bel da fare... Tante attività, dicevo, tutte belle e tutte animate dalla stessa passione: quella per lo sport, il ciclismo in particolare. Un campo dove però ho continuato anche a pedalare, e veloce, coltivando un ultimo sogno: decidere in prima persona quando smettere, non farlo decidere agli eventi. Eppure, gli eventi ci hanno provato...

Quel maledetto incidente

Settembre 2010. Sto rientrando alle docce dopo una gara fantastica (ma sfortunata…) condotta in testa. Ho già in mente le altre mille cose da fare: la partecipazione al matrimonio di un amico e un aereo per Barcellona da prendere in serata, per far firmare un nuovo contratto a un mio atleta impegnato nel Giro di Spagna.

Sono rilassato, contento della mia prestazione, ma già proiettato oltre... Sì, addosso al guardrail che accompagna la strada che sto percorrendo! La mia mountain bike perde il controllo, mi infilo dritto dritto sulla lamiera, che mi taglia la pelle del braccio destro e ne spacca le tre ossa, radio, ulna e omero, fratturando anche cinque costole e la scapola.

Non perdo mai conoscenza e sono incazzato. A casa ho due bimbi che mi aspettano, devo volare in Spagna, ho una valanga di altre cose da sbrigare... mentre nel frattempo perdo litri di sangue. Al momento della dimissione dall’ospedale di Fabriano mi rimangono 8g di emoglobina e tante idee interrotte che mi frullano per la testa. Realizzo che questa potrebbe essere l’ultima gara della mia vita. Ma solo l’idea mi fa ribrezzo.

Gli ortopedici mi guardano pietosi, devo operarmi e subito. Il radiologo si mette le mani nei capelli. Io non avverto dolore, solo rabbia con me stesso: che diamine, potevo stare più attento! Ora come faccio con tutte le cose lasciate in sospeso?

Il primo incontro con Fabrizio Duranti

Mi ritengo fortunato anche perché nella ricerca continua del meglio per il mio fisico ho avuto l’intuizione di voler conoscere il dottor Duranti. Leggendo la quarta di copertina del suo Supersalute con la Zona scopro che siamo compaesani: «Fabrizio Duranti, medico perugino...» Dovevo conoscerlo subito!

Chiedo un appuntamento. È il 2004: appena finito il praticantato giornalistico, in piena crisi sentimentale, con qualche problemino metabolico (peso 7 kg più del dovuto) a causa di quasi un anno di inattività, sento il bisogno di rimettermi in sesto.
Cerco un dietologo, trovo uno studioso del metabolismo.

La mia vita sportiva subisce una svolta decisiva: Fabrizio mi avvia alla filosofia della HMP (Human Maximum Performance) e i risultati sono subito fantastici.

Una nota d’obbligo: la dieta è l’ultimo aspetto che prendiamo in esame. Prima occorre sistemare l’anima o, meglio, lo spirito inquieto che mi appartiene in quel momento della vita. La dottoressa Paola Ragnetti mi fa conoscere l’uso del Freeze-Framer (ora chiamato EmWave), comincio a fare meditazione e a sottopormi ad alcune sedute di EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) per ripulire la mia anima dai pensieri negativi e dallo stress accumulati negli ultimi mesi.

Intanto Fabrizio mi insegna l’importanza di un’integrazione intelligente e calibrata: olio di pesce, glutammina, ginko biloba e una soluzione salina colloidale in gocce, fonte di ossigeno attivo, diventano i miei alleati più potenti.

A questi, nel tempo, si aggiungono un concentrato liquido fermentato, ricavato da frutta, noci e verdure, come disintossicante, e un integratore alimentare a base di tè verde e sali alcalinizzanti. Ho 31 anni. Nel 2005 rivinco il Giro d’Italia Mountain Bike e mi sento rinato.

Sarete curiosi di sapere come ho mangiato nel frattempo, per perdere i chili di troppo.

Come rimedio immediato Fabrizio mi suggerisce alcuni giorni di disintossicazione a base di sola frutta. Poi passiamo alla Zona, reintroducendo gradualmente, in seguito, un maggior quantitativo di carboidrati a basso indice glicemico: così imparo anche a usare la macchina per fare il pane in casa con farine integrali e semi vari.

Il peso si stabilizza, l’anima torna a sorridere e il fluido della vita a scorrere a piene mani.
Sino a quella brusca frenata contro il guardrail.

Dimesso dall’ospedale, cerco di incontrare il prima possibile Fabrizio, ma nel frattempo ho trascorso due mesi senza dormire a causa del dolore, nonostante l’enorme quantità di antidolorifici (e veleni) che il mio corpo ha assunto. Mi sono intossicato a tal punto che soffro di gonfiori e mal di testa. Con Fabrizio tentiamo di alleggerire lo stato di avvelenamento, iniziando un’alimentazione a base di riso macrobiotico, gomasio come condimento e tè verde come bevanda.

Passo tre giorni terribili: le tossine che questa alimentazione naturale e pulita buttano fuori dal mio corpo mi fanno venire il vomito, mentre il mal di testa aumenta. In compenso perdo tutti i liquidi in eccesso. Per il momento dobbiamo rimandare questa terapia d’urto disintossicante. Il mio fisico ne ha bisogno, ma adesso bisogna agire con più gradualità, tanto è pesante lo stato di intossicazione.

E poi, conficcati nel braccio destro, ho circa 70 cm di ferro: un chiodo endomidollare nell’omero lungo 40 cm, fissato da tre viti laterali, e due placche all’avambraccio lunghe 10 cm, fissate da sei viti ciascuna. Sgraditi compagni di viaggio che – mi dicono – dovrò tenere almeno per dodici mesi.

La ripresa con la bici: una frana

A novembre mi faccio coraggio: risalgo in bici. 45 minuti la prima uscita sul lungomare di Catania, città dove vivo ora con la mia famiglia, ma faccio fatica a rientrare a casa tant’è il dolore al braccio e soprattutto il disagio metabolico.

Non ho forze, mi sento distrutto, ma sono deciso: non sarà quella caduta a decretare la fine della mia carriera. Voglio scegliere io quando chiudere e soprattutto voglio lasciare il mio mondo da vincente.

Finalmente incontro Fabrizio

Mi guarda più pietoso degli ortopedici mesi prima. Sono conciato proprio male: occhiaie, pallido in viso, tanto stressato perché troppo preso a recuperare il tempo e gli impegni persi, pur con un fisico ancora fortemente debilitato.

Pietoso sì, ma anche deciso: «Fai troppe cose, Paolo. Il tuo è un incidente da ‘overbooking’, devi riprenderti la tua vita e darti dei ritmi umani. Altrimenti l’incidente non ti avrà insegnato nulla. Tu sei caduto perché non eri sulla bici: tu eri dappertutto con la testa, meno che dove saresti dovuto essere».

Ci penso su pochi giorni. Alcune opportunità contrattuali, la necessità di essere più presente con la mia famiglia (quindi con la mia Vita) e con i miei atleti, l’età che non è più quella di un ragazzino, ma soprattutto la voglia di dare corso alla seconda parte della mia esistenza, piena di cose belle da fare (ma con più giudizio stavolta…), mi convincono a fissare una data per porre termine alla mia carriera agonistica da professionista.

Avete capito bene: ho scelto io quando smettere, e la realizzazione di un nuovo sogno sta prendendo corpo. Così decido: il 1° maggio 2011, nel giorno della festa dei lavoratori, andrò in pensione!

Ma prima c’è un lungo percorso di fatica e dolori da superare, perché devo tornare a vivere, e non sopravvivere. Devo tornare ad allenarmi e non a «pedalicchiare», ad andare forte su una bici, essere competitivo e non solo passeggiare. Voglio tornare a vincere e poi lasciare. Però mi accorgo già dalle prime pedalate che ho una paura matta delle macchine che mi passano accanto; continua a tornarmi in mente quel cavolo di guardrail.

Chiedo aiuto ancora una volta alla dottoressa Ragnetti. Devo «dimenticare» i ricordi negativi, lavare con l’EMDR il mio cervello dal timore dell’impatto e far sì che l’energia positiva torni a scorrere nel mio corpo. Paola mi suggerisce anche l’utilizzo dei Bush Flowers come supporto per le mie ansie e della L-teanina come tonico per il morale.

Ci lavoro su anche con il mio mental trainer, il dottor Fabio Forzini: praticamente reimpariamo insieme ad andare in bici; prima che psicologo lui è stato ciclocrossista di valore mondiale. I suoi consigli, assieme a quelli delle persone a me più care e che ritengo fondamentali nella mia formazione, sono per me sempre illuminanti.

Anche sotto questo punto di vista sono un uomo fortunato: ho accanto uno staff di specialisti che danno il meglio per me, dal fisioterapista Rosario, all’allenatore Giovanni Camorani, il mio amico e sponsor Giuseppe, pedalatore anche lui, che mi sta vicino come se fossi un fratello e non solo un atleta; e poi c’è la mia famiglia, con mia moglie Valeria e i piccoli Edoardo e Gaia che sono i miei primi tifosi.

Fabrizio Duranti tira le fila, perché tutti sono orientati a dare il massimo, e anche perché la sfida di ripartire in gara, prima o poi, con tutto quel ferro nel braccio, un fisico e un morale da ricostruire, sento il bisogno di affrontarla in condivisione.

Una nuova vittoria

Lo ripeto: sono davvero un uomo fortunato, perché quella sfida l’ho già vinta!
Il 13 febbraio 2011, a cinque mesi e cinque giorni di distanza dal terribile incidente, sono ripartito in corsa al Trofeo Laigueglia, pedalando in testa a tremila ciclisti, come nuovo debutto in una gara su strada, prima di rigettarmi negli sterrati più impegnativi.

Ricordo una paura incredibile che non m’era mai appartenuta prima, una rigidità muscolare impressionante… ma mentre i timori e la fatica sono già passati, il ricordo del piazzamento tra i primi trenta classificati ce l’ho ben saldo in mente.

Il mattino della gara, vestendomi con grande sforzo, e con un solo braccio, davanti allo specchio mi sono guardato e mi sono detto: O sei pazzo o sei fortemente innamorato della tua vita.

Ho indossato il casco, messo il piede sul pedale e sono partito deciso. Mi sono detto che la motivazione giusta era assolutamente la seconda, e che valeva la pena pedalare il più forte possibile. Come faccio ogni giorno dall’età di 7 anni. Come non smetterò mai di fare, da semplice appassionato ma non più per lavoro, per tutti i giorni della mia vita.

L’ultima sfida la sto vivendo proprio nei giorni in cui scrivo queste pagine. Non posso dirvi come andrà a finire perché non lo so neanche io, ma intanto alla seconda gara dopo l’incidente, stavolta corsa a Reggio Emilia e in mountain bike, mi sono già piazzato quarto! La prossima la voglio vincere. Ora so perché certe sensazioni di sicurezza, di forza muscolare, di spinta mentale positiva quando arrivano ti danno quella marcia in più. Ora so che ci posso riuscire.

Sono finalmente tornato forte, pronto a vincere prima, per poi lasciare con gioia.

(Da "Per sempre giovani" ed. Sperling & Kupfer)



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